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atto quinto | 385 |
Arpione. A te, che sei astrologo, ti hanno ingannato i cieli.
Astrologo. Ed è il peggio: ingannato da voi.
Arpione. Or te ne avvedi: dovevi pensarci prima.
Astrologo. O Dio, o Dio! anzi, che tardi mi accorgo chi sète voi.
Ronca. Siamo stati tanto tempo teco e non ne hai conosciuti?
Astrologo. Ma io ve ne farò pentire, vi accusarò; e non mi curo esser appiccato per far esser appiccati voi.
Ronca. Abbiamo avuto l’indulto per noi e accusatone te: e avemo testimoniato contro di te di tante furfantarie che la millesima parte basterebbe di farti esser appiccato, squartato e abbruciato. Mille pendono dalle forche che non han fatti tanti malefici come tu; tutti li abbiamo caricati sopra di te.
Astrologo. Ed io posso sopportar tal carico?
Ronca. Lo sopportarai maggiore quando il boia ti caricará sopra le spalle!
Astrologo. A te, a te! E non mi volete dar almeno qualche cosa?
Ronca. Ma, per essere stato nostro maestro, vogliamo farti una caritá, darti tanto che compri un braccio di fune per strangolarti; over ponti la via tra piedi e scampa.
Astrologo. Bisogna pur che io me ne vada con Dio.
Arpione. Se non ti par poco, va’ con il diavolo ancora.
Astrologo. Ricordatevi della burla che mi avete fatto.
Ronca. Ricordatene pur tu a cui si appartiene. Fuggi presto, scampa la forca che ti sta al presente innanzi agli occhi e non la vedi: ogni cosa è birri e pregione e manigoldo per te, e guai a te se non voli!
SCENA V.
Cricca, Pandolfo.
Cricca. (Ma dove trovarò il padrone per dargli questa buona nuova, che l’argento è ricuperato dall’astrologo? Vo’ cercargli la mancia. Ma eccolo, che viene). Padrone, allegrezza allegrezza!