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384 lo astrologo


Arpione. E tu, che pensavi piantar lo stendardo su la torre di Babilona, restarai piantato per ornamento di una berlina, per trofeo di una forca e per ciambello di corde.

Astrologo. Non mi volete dar dunque la parte mia?

Ronca. Non saressimo ladri se non sapessimo rubbar da te: siamo tuoi discepoli, e tu ci hai addottorati.

Astrologo. E l’amicizia?

Arpione. Che amicizia è tra ladri? par che da mò cominci a conoscerci?

Astrologo. E la fede?

Arpione. Che cosa è fede? la prima cosa che tu ci insegnassi, fu che sbandissimo da noi la fede; né mai l’abbiamo conosciuta che cosa sia.

Astrologo. E la promessa?

Ronca. Se le promesse non si osservano fra uomini da bene, né con tanti scritti, testimoni e instromenti, come cerchi la osservanza della promessa tra ladri?

Astrologo. Mi son affaticato tanto oggi per guadagnare... .

Ronca. Un paro di forche! e non ti paia poco che ti doniamo la vita, che non ti ammazziamo o ti diamo in poter della giustizia.

Astrologo. Vi ringrazio.

Arpione. Non bisogna ringraziarci, se lo facciamo per ordinario.

Astrologo. La vostra sufficienza me lo fa credere; ma voi discepoli non dovreste far questo al vostro maestro.

Ronca. Questa volta i discepoli hanno saputo piú che il maestro: noi giovani t’insegniamo a te che sei vecchio d’anni e d’inganni.

Astrologo. Mi date licenza che vi dica una parola?

Ronca. Dinne cento, ché noi siamo piú tuoi che tu del diavolo.

Astrologo. Questa vostra impietá mi fará divenir uomo da bene.

Arpione. Non può essere che tu facci tanto torto alla forca che ti aspetta.

Astrologo. Ah, ciel traditore!