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atto quinto | 383 |
Pandolfo. Oimè! oimè! oimè!
Vignarolo. Di che piangete?
Pandolfo. Della sposa che ho perduta, delli argenti e della perdita di me stesso!
Vignarolo. A che vi giova il pianto? siate presto acciò l’indugio non vi toglia il rimedio.
Pandolfo. O infelice me piú di quanti uomini sono al mondo! vado a trovar l’astrologo, benché l’impresa è da disperarsi. Tu entra e taci.
Vignarolo. Entro e taccio.
SCENA IV.
Astrologo, Gramigna, Arpione, Ronca.
Astrologo. (Son stato al Cerriglio e non ho trovato l’apparecchio né i miei furbacchi; dubito che non abbino furbacchiato ancor me. Certo che non l’ho fatto da par mio: fidarmi de ladri! Ma eccoli). Voi siate i benvenuti!
Ronca. Dubito che sarete il mal trovato.
Astrologo. Buon giorno, discepoli miei cari, se lo meritate!
Gramigna. Mal giorno e mal anno al nostro caro maestro, ché so che lo meritate!
Astrologo. Se non lo meritate, ve lo toglio e non ve lo dono.
Ronca. Noi saremo piú cortesi di te ché te lo diamo, e non lo potemo togliere perché l’avemo giá dato.
Astrologo. Che ne è di Sfrattacampagna?
Ronca. Ha rubato la parte sua e sfrattata la campagna.
Astrologo. E la mia parte?
Arpione. Tutti abbiamo fatto il debito nostro: Ronca se l’ha roncheggiata. Gramigna sgramignata ed io arpizzata; e ce andiamo verso levante come uomini di quel paese.
Astrologo. Non me la darete dunque?
Ronca. È fatta commune giá, non può tornarsi piú.
Astrologo. Dubito che me la vogliano fare.
Gramigna. Non bisogna dubitarne: e ve l’abbiamo fatta giá.