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380 lo astrologo


Vignarolo. Perché mi fate ingiuria?

Pandolfo. Perché l’hai fatta tu a me: «l’ingiuria che si riceve, è figlia dell’ingiuria che è stata fatta prima». Io ti fo ingiuria non uccidendoti, e per non ingiuriarti ti vo’ uccidere! E questo desiderava io: che niuno si possa tramettere che io non ti tratti come meriti.

Vignarolo. Oimè! oimè!

Pandolfo. Ti dole forsi che non fo quanto meriti?

Vignarolo. Che ti ho fatto io?

Pandolfo. Mi dimandi ancor che mi hai fatto?

Vignarolo. Perché mi volete uccidere?

Pandolfo. Per trarti il cuor dal petto e bevermi il tuo sangue!

Vignarolo. La cagione?

Pandolfo. Il voler renderti la cagione è un voler tramettere tempo per ascoltar le tue scuse: la cagion è che vo’ trarti le budella!

Vignarolo. Volete far esperienza di tutte le vostre forze contra di me?

Pandolfo. Perché non è uomo a cui con tutte le forze non cerchi far il peggio che possa.

Vignarolo. Al vostro fattore?

Pandolfo. Al mio disfattore. Né con queste parole scamperai la vita, né il pentire né il cercare perdono ha piú luogo appresso me.

Vignarolo. Che vi ho fatto io?

Pandolfo. Pur hai animo di parlar, traditore?

Vignarolo. Che tradimento vi feci io mai?

Pandolfo. Lo nieghi ora, furfante?

Vignarolo. Lo niego, perché non feci mai tradimento.

Pandolfo. Or finge il balordo, perché con far il balordo mi hai sempre ingannato.

Vignarolo. Non fingo il balordo né inganno, né e mio officio né a voi si conviene.

Pandolfo. Or me inganni e burli piú che mai.

Vignarolo. Non vi burlo, né volendo potrei farlo. Parlatemi chiaramente né mi tenete il coltello tanto alla gola.