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atto quarto 369

dar Artemisia ad Eugenio e Sulpicia a Lelio, ché a vecchi decrepiti non convengono mogli di sedici anni.

Guglielmo. Oh bel pensiero, veramente molto sottile e astuto!

Lelio. Non potria imaginarsi il piú bel tratto! togliete via ogni tardanza.

Cricca. Piano; «a chi è impaziente dell’indugio convien precipitare»; ma se vogliamo che l’inganno riesca, non bisogna andar cinguettando che Guglielmo sia tornato. E voi trattenete il vignarolo in casa, ché non lo vegga Pandolfo insin a tanto che non avete fatto i matrimoni. Qui sta la vittoria del fatto; e partiamoci ché non venga e ci veggia ragionar insieme, perché sarebbe un dargli sospetto di qualche trama ordita contra di lui. Io andarò a dargli nuova che il vignarolo è entrato in casa e che Lelio è contento far il volere di suo padre: il che crederá, come cosa che desidera, e verrá agevolmente al giuramento.

Lelio. Come trattenerò io il vignarolo?

Cricca. Egli verrá certissimo in casa vostra: serratelo in una camera finché le spose sian fatte vostre.

Lelio. Vorrei che mentre l’avrem prigione facciam vendetta del disgusto che ne ha dato.

Cricca. Il piacer che pigliaremo del piacevole scherzo del vignarolo sará la vendetta della sua ignoranza.

Lelio. Or che la fortuna seconda li nostri desidèri, andiam, padre, a dar questa allegrezza ad Artemisia.

Guglielmo. Andiamo.

Cricca. Ma ecco il vignarolo che se ne vien dritto a casa: beffeggiamolo un poco.

Lelio. Lascia far a noi.

SCENA X.

Vignarolo, Armellina.

Vignarolo. (Questo maladetto Cricca con le sue ragioni m’avea di sorte frastornato il cervello con dire che era il vignarolo e non Guglielmo, che poco men m’avea persuaso;