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atto quarto 361

poi comincia a far prima i fatti tuoi, poi i fatti del padrone: che Armellina si sposi con il vignarolo e poi Artemisia col padrone. Ma se non lo volessero fare, che farai tu? Io ne torrò Armellina per forza e di Artemisia facci il padrone. — Ah, traditora Armellina, or ti renderò le parole che mi dicesti questa mattina! Vo’ andare a battere alla porta e non trattenermi piú, ché non passi il tempo e tornasse il vignarolo senza far nulla.

SCENA VII.

Guglielmo, Vignarolo.

Guglielmo. (Misero me, che debbo fare, che, venuto nella mia patria con tante fatiche, non posso entrare in casa mia? Ma veggio uno che cerca entrarvi: sará qualche amico; mi raccomandarò a lui).

Vignarolo. Tic, toc, toc.

Guglielmo. Gentiluomo, sète voi di casa?

Vignarolo. (Mi chiama «gentiluomo», mi onora: poiché paro ben vestito si pensa che sia gentiluomo. Bella cosa è l’essere ricco: ogniuno ti onora, ti saluta, ti tocca la mano, si ferma a ragionare con te, ti compagna sino a casa e ti dimanda come stai. Mi chiama «gentiluomo», che né a me né a niuno della mia schiatta conviene tal nome).

Guglielmo. Gentiluomo, chi sei che batti a cotesta porta?

Vignarolo. Rispondi a me tu prima: chi sei che me ne dimandi?

Guglielmo. Padron mio caro, non entrate in còlera: di grazia dite voi, chi sète?

Vignarolo. Non ho da render conto ad un uomo vile come tu sei; ma tu che vuoi saper chi sia, tu chi sei?

Guglielmo. Il padron di questa casa!

Vignarolo. Tu menti che ne sii padrone, ché il padrone ne son io.

Guglielmo. (Forse mio figlio l’avrá venduta a costui). Quanto è che ne sète padrone?