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356 lo astrologo


Cricca. Andaste in Barberia per radere e fosti raso. (Lasciamo le baie, dimandiamoli delli argenti e de’ paramenti).

Pandolfo. Ben, vignarolo mio, dove sono li argenti e i paramenti che l’astrologo t’ha consegnato?

Guglielmo. Non so che vi dite.

Pandolfo. Scherzi o dici da senno?

Guglielmo. Dal miglior che abbi. È tempo questo di scherzi?

Pandolfo. Or questo è un altro conto. Dimmi, dove è l’argento?

Guglielmo. A me ne dimandate?

Pandolfo. A chi vuoi che ne dimandi?

Guglielmo. Che argento dite voi?

Pandolfo. Che ti ha consegnato l’astrologo dopo che fosti trasformato.

Guglielmo. Che astrologo, che trasformazione?

Pandolfo. Or questo è un altro diavolo, duemila scudi d’argento: sarebbe cosa da farmi arrabbiare!

Cricca. Ah, ah, ah! mirate che ride! vuol scherzare con voi il traditore.

Pandolfo. Canchero! questi sono mali scherzi. E par che sia piú tosto pallido divenuto.

Cricca. Pensa il ladro che se or è trasformato in Guglielmo, che mai piú abbi a divenire vignarolo e farci star in forsi dell’argento ancora.

Pandolfo. Non ha tanta malizia, è un bestiale.

Cricca. Ed i bestiali sogliono essere maliziosi; ma sarei piú bestiale di lui se mi lasciassi burlare da un par suo. Dimmi, non sei tu il vignarolo?

Guglielmo. Dico che sono Guglielmo non il vignarolo.

Pandolfo. Anzi tu sei l’uno e l’altro, il vignarolo e Guglielmo, cioè il vignarolo mascherato in Guglielmo.

Guglielmo. Io non son altro che Guglielmo, e non è or carnevale che vada in maschera. Non ho altra maschera di quella che mi fece la natura.

Cricca. Non posso credere che la soverchia bestialitá basti a far un uomo savio.