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atto terzo | 347 |
Vignarolo. Ed io vi bacio le mani. (Io non li ho dato nulla e dice che ringrazia la mia liberalitá!). Oimè oimè, la mia borsa! oimè, i miei danari, o messer Arpione!
Arpione. Eccomi, che volete?
Vignarolo. Mostrami la mano.
Arpione. Eccola.
Vignarolo. Dove è l’altra?
Arpione. Eccola.
Vignarolo. Dove è l’altra?
Arpione. Che volete che abbia cento mani?
Vignarolo. Quale è la destra?
Arpione. Ecco la destra.
Vignarolo. La sinistra?
Arpione. Ecco la sinistra.
Vignarolo. Dove son le due mani?
Arpione. Quante volte volete vederle? forse i pericoli del viaggio vi fanno ferneticare?
Vignarolo. Oh, fermati! o ladro, o tagliaborse, o Arpione, proprio Arpione, ché come un arpione hai arpizato! Oh come è sparito! Ma come costui avrá potuto cosí stendere le membra e torcer le braccia, come i bagatellieri che fanno vedere e stravedere? o forse me l’ha tolta con i piedi? Or conosco che son un asino: non ha detto che si chiamava Arpione e che mi voleva arpizar la borsa? Perché lasciarmi arpizarla? Certo, che devo essere il vignarolo e non Guglielmo!
Arpione. Signor Guglielmo, che avete?
Vignarolo. Un truffatore mi ha tolto una borsa con dieci ducati.
Arpione. Mi dispiace non poter aiutarvi per mia disgrazia!
Vignarolo. Anzi per mia, per me solo!
Arpione. Come stava fatto?
Vignarolo. Con una ciera di ladro proprio come la tua; ma teneva un empiastro agli occhi come quelli che si pongono su le pannocchie. Che il cancaro si mangi tal razza di uomini!
Arpione. A voi mi raccomando.