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346 lo astrologo

avea constituito conservargli al suo ritorno. Ma poiché sète tornato sano e salvo, eccoli, ché dubito ne abbiate bisogno.

Vignarolo. Come, che ne avrò bisogno!

Ronca. Vi ringrazio della cortesia; mi raccomando a voi.

Vignarolo. Oh che sia benedetto quel punto nel quale mi trasformai in Guglielmo, ché, non avendo in vita mia mai potuto accoppiare uno carlino quando era vignarolo, or, essendo Guglielmo, in un punto ho guadagnato dieci ducati!

SCENA V.

Arpione, Vignarolo.

Arpione. Vi ho visto sbarcare or ora dalla nave, signor Guglielmo, di che ne ho tanta allegrezza che non posso contenermi di non abbracciarvi e baciarvi.

Vignarolo. Ed io col medesimo effetto vi bacio molto amorevolmente. Ma come vi chiamate?

Arpione. Non vi ricordate di Arpione che vi era tanto caro?

Vignarolo. Sí bene, or me ne ricordo, Arpione mio caro.

Arpione. Ringrazio la fortuna del mare che ne fe’ grazia di rivederci.

Vignarolo. Come state?

Arpione. Sète forse divenuto medico, che mi dimandate come stia? Comunque stia, son sempre al vostro comando. Perdonatemi, non posso contenermi che non vi abbracci e baci di nuovo, e sento tanta allegrezza che non ho lingua per esprimerla.

Vignarolo. (Mentre costui mi ave abbracciato mi ho sentito dare una scossa alla borsa. Le mani e le braccia me le sentiva al collo: se alcun da dietro non me l’ha tolta, non potrei saper chi fosse. Ma qui non è altri).

Arpione. Avete patito gran disagi nel viaggio, Guglielmo caro?

Vignarolo. Molti, Arpione mio carissimo. (Io veggio pur le mani di costui fuori, e pur mi sento levar la borsa).

Arpione. Orsú, me vi raccomando. A rivederci, ringrazio la vostra liberalitá.