Pagina:Della Porta - Le commedie II.djvu/357


atto terzo 345


Albumazar. Usate le barbe adulterine, impiastri ed altri linguaggi, ché non siate conosciuti per quelli istessi. Ma non vorrei che mentre attendo all’utile commune di un altro guadagno, che mangiaste senza me e mi rubbasti la parte mia, giaché sète ladri senza vergogna, senza legge e senza fede, che arrobbaresti voi stessi quando non avesti altri a chi rubbare.

Gramigna. Sarebbe cosa nuova forse? non ce l’avete insegnato voi?

Albumazar. Con la misura tua misuri tutti gli altri: «la cosa andará da zingano a giudeo».

Gramigna. Fai ora come or ti avessi a conoscere. Orsú, andiamo.

SCENA IV.

Vignarolo, Ronca.

Vignarolo. (Oh bella cosa l’essere trasformato in un altro! Io pensava che fosse trasformato tra la carne e la pelle; ma or come sono trasformato di volto cosí ancora mi sento trasformato di cervello. Mi par di esser diventato gentiluomo e smenticato affatto del villano: non mi resta altro di vignarolo che l’appetito e l’essere innamorato di Armellina. Son certo che niuno mi conoscerá, poiché io medesimo non piú conosco me stesso. Oh che cosa mirabile! credo che per ogni buco della mia persona sia un spirito. Vorrei andar a casa di Guglielmo per servir il padrone; ma par che non mi assicuri).

Ronca. Oh, signor Guglielmo, voi siate il bentornato per mille volte! Quanto tempo è che sète giunto in Napoli?

Vignarolo. Voi siate il ben trovato! Or giungo dal viaggio.

Ronca. Vi avemo giá pianto per morto.

Vignarolo. Son salvo e al vostro comando.

Ronca. Si ricorda Vostra Signoria, quando mi prestaste dieci ducati, che i birri mi menavano in prigione?

Vignarolo. Signor sí, signor sí, me ne ricordo.

Ronca. Quando venni a casa vostra per restituirli, vi venne la nuova del vostro naufragio: e non potendo restituirli a voi,