Pagina:Della Porta - Le commedie II.djvu/354

342 lo astrologo

contrasto, direte che non gli darete la catena se non vi restituisce i vasi, minacciandolo ancora di accusarlo alla corte.

Pandolfo. E se l’inganno si scoprisse?

Cricca. Riversciaremo la colpa sul vignarolo che ha buone spalle.

Pandolfo. Non mi dispiace il tuo pensiero e son disposto seguirlo.

Cricca. Ma il punto sta e l’importanza del negozio in saper fingere il colerico, la stizza e il disgusto, e gridar alto e terribile.

Pandolfo. Lascia fingere a me, e se nol faccio naturale, mio danno, cinquecento ducati. Cacasangue! mi farò uscir i gridi fin dalle calcagne; ma bisogna che tu m’aiuti a dar ragione.

Cricca. Non mancarò: nelle mani vostre sta il guadagnare e il perdere cinquecento ducati se saprete ben fingere.

Pandolfo. Non piú, ché non intenda quanto ragioniamo. Ma eccolo che viene fuori.

SCENA II.

Albumazar, Pandolfo, Cricca.

Albumazar. Pandolfo, ecco, fra poco spazio avrete trasformato il vignarolo.

Cricca. Non è dunque trasformato del tutto?

Albumazar. È giá trasformato tutto il corpo, ma un solo piede e le mani li mancano.

Cricca. Dimmi, signor astrologo, per quanto tempo durerá il vignarolo nella figura di Guglielmo?

Albumazar. Per un giorno naturale.

Cricca. E ci sono anco i giorni contra natura?

Albumazar. Il giorno naturale se intende di ventiquattro ore.

Cricca. E quello contra la natura?

Albumazar. Quando il sol vien verso noi dinanzi e i giorni son grandi, son naturali; quando vanno indietro e son brevi, vanno contro natura.

Pandolfo. Oimè oimè oimè!