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atto secondo 23

come se non t’avesse conosciuto mai. Ma stimi che s’alcun formoso la chieda in copula matrimoniale, per amor tuo voglia giacer frigida nel lecto?

Lampridio. Protodidascalo, non far questa ingiuria al bello animo suo, ch’io nol comporterò.

Protodidascalo. Ma penso fin ora ne sará fatto cerziore tuo padre Filastorgo — che è nome greco, «apò tú philin, apò tú astorgin», «ab amando filium», «che ti ama molto»; — onde o ti richiamerá a Roma overo un giorno tel vedrai: «Quem quaeritis? adsum»; ché non solo verrá qua equester o pedester ma navester ancora.

Lampridio. Il fuoco d’amore si consuma piuttosto da se stesso col tempo che con ricordi o solleciti avedimenti: però andiamo a Capovana a trovar Giulio studente che conoscemmo in Salerno, ché quel certo mi rallegrará con alcuna buona novella di Olimpia mia.

Protodidascalo. Non ti ha scritto Giulio che Olimpia non voleva che tu fussi venuto a Napoli? e non ci fu detto nel diversorio che Olimpia si maritava con un certo capitano famigerato?

Lampridio. È bugia, nol credere.

Protodidascalo. Niuno crede a quel che gli dispiace. Ma io mi dimentichi tutti i modi di dire ciceroniani e non possa finire il sesto di Virgilio che ho cominciato, se non ti succederá quel che ti dico; «obtestor deúm — pro ‛deorum’ — atque hominum fidem»!

Lampridio. Questi che viene in qua non è Giulio quel nostro amico?

SCENA II.

Giulio studente, Lampridio, Protodidascalo.

Giulio. Se mal non veggio, questi mi par Lampridio; egli è desso. O Lampridio dolcissimo!

Lampridio. O Giulio fratello, ché persona piú desiderata non arei potuto incontrar oggi!

Giulio. Dio vi salvi e vi dia mille buon giorni!