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atto secondo | 335 |
Lelio. Bisognarebbe farli un salvacondotto per le spalle: ché egli sta tanto impazzito in questa pazzia sua che, come entra a dissuaderlo, egli entra in rabbia e gioca di bastonate, onde bisogna secondare li suoi desideri e promettere di aiutarlo; ma egli si avisa subito del tutto.
Eugenio. Ma sono tanto assassinato dalla sorte che vorrei incrudelirmi contro me stesso; e se fosse altri che mio padre, con le mie mani me lo torrei dinanzi.
Lelio. Vogliam perciò disperarci? bisogna ovviar con qualche rimedio.
Eugenio. Cricca, speriamo in te: insegnaci ché siamo tuoi discepoli.
Cricca. Non bisogna sperar se non nella fortuna, la qual suol trovar modo di sollevar l’uomo ne’ maggiori suoi travagli quando manco si pensa, e abbassa chi sta piú al sicuro.
Eugenio. Cricca, sopporti che la miglior perla cada in bocca al piú tristo porco?
Lelio. O fatiche, o passi sparsi, e sparsi poi tanto amaramente!
Eugenio. Che dici? che pensi? parla un poco.
Cricca. Qui non bisogna pensar molto né parlar assai: la cosa istessa ci apporta rimedio; e se son contrario al padron, mi perdoni, ché mi par cosa fuor di servitú lasciar di servir i giovani che hanno a vivere piú longo tempo, per servir vecchi che hanno a morire fra poco.
Eugenio. Cavami da cosí gran pericolo.
Cricca. Sarebbe veramente gran pericolo se non fussimo avisati; ma sapendo il tutto, cessa il pericolo.
Eugenio. E come?
Cricca. Quando si vedrá venir Guglielmo in casa con parole umili e piene di compassione, con dir che sia scampato dal naufragio e venuto a casa, via, cacciarlo, e non volendosi partire, che giuochi a bastone!
Lelio. Non saria meglio prenderlo e tenerlo in buona custodia; e come è tornato nella sua forma, porlo in mano della giustizia e farlo castigare?