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atto secondo | 333 |
SCENA V.
Albumazar, Pandolfo, Vignarolo.
Albumazar. La casa è molto a proposito. Io andrò a tôr le mie armi, astrolabi, meteoroscopi, e per via di azimut e almicantarat prepararò le cose necessarie. Voi andate a tôr li argenti e paramenti in prestito e l’altre cose che vi ho detto, e lasciate ordinato in casa che si sgombri la camera e poi s’orni.
Pandolfo. Sará fatto in un subito quanto avete ordinato.
Albumazar. Vo e volarò qui fra poco.
Pandolfo. Andate felice! — Vignarolo, di’ a Sulpizia che cali giú li addobbamenti di damasco con quelle trine d’oro e tutti gli argenti miei, e che sgombri la camera e l’adorni tutta; e torna volando.
Vignarolo. Cosí farò.
Pandolfo. O felice me, o benedetto astrologo! eccomi giunto a quanto mai ho desiderato: posseder Artemisia per isposa. Cancaro! se ci dovesse andar la vita. E non mi par che mai giunga quell’ora; oh, quanto tarda il vignarolo! — Finiamola, a che dimori tanto?
Vignarolo. Eccomi!
Pandolfo. Vien meco a portar vasi di argento che mi farò prestar dagli amici, li animali e quei liquori.
Vignarolo. Vengo.
SCENA VI.
Eugenio, Lelio giovani, Cricca servo.
Eugenio. Queste son pur le gran maraviglie che ne racconti, ed io non basto a crederle.
Lelio. Chi è costui che opra cosí gran maraviglie?
Cricca. Uno astrologo nuovamente stampato, che con le sue astrologherie astrologa tutti gli uomini.