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atto secondo 325


Vignarolo. E chi m’assicura che torni come prima? ché transformandomi si perde la persona mia, non sarei piú in calendario e non restarebbe segnale al mondo che vi fosse stato. No no.

Pandolfo. Non è peggio al mondo che avere a fare con animalacci come tu sei: «se li preghi s’insuperbiscono, se li bastoneggi s’indurano»; non si sa come trattar con loro, razza grossolana! Farò seco come si fa con i cani: che, per fargli piacevoli e che faccino a modo de’ padroni, non se li dá da mangiare e si pigliano con la fame.

Vignarolo. Almeno, se morirò di fame, morirò quel che sono; ma se mi trasformo, venerò in fumo, in vento.

Pandolfo. Chi non cerca migliorare vive sempre misero e meschino, e non val per sé né per altri. Sai che differenza è fra un savio e uno ignorante?

Vignarolo. No.

Pandolfo. Che il savio mangia bene, beve meglio, ben vestito e sempre a spasso; l’ignorante, sempre scalzo, nudo e morto di fame e di sete, e sempre stenta e fatica: perché il savio conosce l’occasione di far robba, si mette a pericolo una volta per non stentar sempre; l’ignorante non si cura dell’utile né si provede. «Tu hai poco senno e manco ventura»: se tu saprai conoscerla, felice te! Chi recusa la sua ventura è sventurato.

Vignarolo. Padrone, né mi muovono le tue lusinghe né mi spaventano le tue minacce: il diventare un altro è una specie di morire, e col morire non ci sto bene. Io farei capitomboli per amor vostro.

Pandolfo. Deh, che ti venga il mal francese!

Vignarolo. Non ho paura che mi venga.

Pandolfo. Perché?

Vignarolo. Mi è venuto gran tempo fa e ne sto in possessione.

Pandolfo. Se lo hai, che ti mangi e spolpi insin alle ossa, sciagurato che sei! ché se il pan che mangi conoscesse da chi è mangiato, piangeria quando è sotto i tuoi denti. Ti ho