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320 lo astrologo


Pandolfo. Io non mi partirò tutto oggi da’ vostri piedi.

Albumazar. Eccolo, ponetelo in testa, e tenete in mano questa imagine marziale, impressa quando egli felicissimo ascendeva su l’orizonte nel segno d’Ariete di marzo, di martedí, all’ora prima di Marte, ché vi fará libero d’ogni male.

Pandolfo. Accetto volentieri la grazia che mi fate.

Albumazar. Orsú, andate, abbiate l’uomo che volete transformare e tornate a me, ché vi renderò pago d’ogni vostro desio.

Pandolfo. Cosí facciamo.

Albumazar. Io intanto col mio stromento iscioterico per via d’azimut e almicantarat cercherò felici ponti per voi.

Pandolfo. Restate in pace!

Albumazar. Andate: che le stelle vi siano propizie e vi riempiano la casa d’influssi benigni, propizi e fortunati!

SCENA VI.

Pandolfo, Cricca.

Pandolfo. Cricca, in somma l’astrologia è una grande arte: mira come subito in vedermi m’indovinò quanto mi stava nel cuore, e come intese quanto dicevi poco innanzi e lo burlavi e non gli volevi credere. Ecco ne hai patito la penitenza, e tristo te se non lo pregavo per la tua vita.

Cricca. Veramente non pensava che fosse astrologo da vero: lo stimava qualche razza di furfante, come se ne trovano tanti che si vantano d’esser astrologhi e ingannano la vil plebe.

Pandolfo. Beato te che sei uscito di periglio, ché a me par che d’ora in ora mi cada il mondo in testa! Per tutto oggi non farò questione. Se alcuno mi dirá: — Sei un furfante, — dirò: — Son un furfante e mezzo. — Che importa quella parola? bisogna vivere e fare li fatti suoi.

Cricca. Andiancene presto a casa.

Pandolfo. Vorrei aver un campanil in testa per stare piú sicuro. Oh oh, son morto!