Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
316 | lo astrologo |
Cricca. È stropicciato e lo stivale li fa male!
Albumazar. ... e giá la luna scema se ne va alla volta di Capricorno.
Cricca. Guardatevi, padrone, tôr cotal moglie! quando la luna scema è cornuta e va al capricorno, vi minacciano corna: sarete un cornucopia.
Albumazar. Tu sei pazzo e presentuoso; e se non ti emendi, ti farò pentire della tua pazzia e prosunzione!
Pandolfo. Taci, bestia! quei vocabuli sono arabichi e turcheschi.
Cricca. Astrologo, di che ciera ti paro io?
Albumazar. Ho visto mille appicati in vita mia, ma non ho veduto la piú maladetta e scommunicata fisonomia e ciera della tua; e se tu fossi un poco piú alto da terra, direi che sei stato appicato giá. Ma se ben mi ricordo, vidi l’altro giorno uno che s’andava scopando per la cittá: o tu sei esso o egli te.
Cricca. S’ho cattiva cera di fuori, dentro ho buono miele.
Albumazar. Cera da far candele: la forca prolongar la potrai ma non scampare! — Ma ditemi: costui è vostro servo?
Pandolfo. Sí bene.
Albumazar. Fate sonare la campana a mortorio.
Pandolfo. Ancor non è morto.
Albumazar. Sará ucciso fra poco e li sará passato il cuore da mille punte. E cosí conoscerai se sono buono o cattivo astrologo; e quando l’avrai scampata, allor schernisci me e la potentissima arte dell’astrologia.
Pandolfo. Padron caro, non mirate costui che è mezzo buffone, e però ha preso con voi questa confidanza. La prego per lo suo valore che non miri la costui pazzia; e rimediate se potete.