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20 l’olimpia


Mastica. Che cosa è «armangia»?

Trasilogo. Dico «alfangia» non «armangia».

Mastica. Che m’importa alfangia o armangia! vi domando s’è cosa da mangiare.

Trasilogo. ... È una scimitarra che tolsi al capitan don Juan Manrich Caravaschal cara de Pamplona. ...

Mastica. Gran scimitarra dovea esser questa che ci ponevano la mano tante persone!

Trasilogo. Che tante persone?

Mastica. Questi «tric», «varric», «varrá», «varrone» che avete detto.

Trasilogo. ... E ave un bel manico d’avorio posticcio.

Mastica. Pasticcio? questo sí che l’accetto.

Trasilogo. Ti lascio, ch’io vo’ partirmi.

Mastica. E quando pransaremo?

Trasilogo. Io vo a desinare con S. E. questa mattina, che iersera ne volse la fede mia di non mancarle. Questa sera cenerai nel banchetto della tua padrona, che ben sai che dove la sera si fan nozze la mattina non vi si mangia.

Mastica. Disgrazio tal legge e chi la compose!

Trasilogo. Tu sei in còlera meco: non ti partire, ch’adesso ritornerò, che giá non è ora di pranso.

Mastica. In casa tua mai non è ora di pranso mentre ci sono io. Temerario vantatore, capitan di ranocchi, mi fa ascoltare e parlar quattro ore, poi me ne manda assordito e diseccato, senza mangiare e senza bere. Si pensava che le sue parole m’entrassero in corpo e mi servissero per cibo, o forse mi voleva far morire come quelli suoi popoli. Mi voleva dar l’alfangia, come s’io avessi bisogno di queste armi per combattere con la fame: ché non ho altra nemica al mondo, né è piú gran pericolo che combatter con lei; e se non mi difendessi a piatti di lasagni, di maccheroni, caponi, faggiani e fegatelli, m’ucciderebbe. Orsú, me n’andrò ratto a Salerno per trovar Lampridio e gli darò la lettera, che per mancia non mi mancherá un banchetto da imperadore.