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ATTO I.

SCENA I.

Albumazar astrologo, Ronca, Arpione, Gramigna furbi.

Albumazar. O miei cari compagni e commilitoni Ronca, Arpione e Gramigna, che in questo nobilissimo essercizio della busca, cioè far suo quel che è d’altri, cosí egregiamente e cosí valorosamente vi sète portati meco — tu, Ronca, roncheggiando; tu, Arpione, arpizzando; e tu, Gramigna, stendendo le tue radici per tutto e gramignando quanto afferri; — e come novi Soloni — che il giorno attendeva alle cose publiche e la notte scriveva le leggi d’Atene — voi virtuosamente spendendo l’ore, il giorno insidiando alle borse e falsando monete, scritture, processi e polize al banco, e la notte dando la caccia alle cappe e a’ ferraioli, facendo sentinelle per le strade per dare assalti alle porte de’ palazzi e batterie alle botteghe — che sono le nostre sette arti liberali: — come uomini di sottilissimo ingegno e valorosissimi guerrieri sempre sète tornati a casa trionfanti e carichi di spoglie ostili e di trofei de nemici, e ne avete conseguiti grandissimi onori.

Ronca. Ed io ne ho aúto parte degli onori, che fui fatto re di Cartagine, con la corona in testa circondando la cittá a cavallo, con riputazione a suon di trombe, con giubilo de’ figliuoli e con allegrezza e concorso di tutto il popolo, non mancando chi mi scacciava le mosche dalle spalle.

Arpione. Ed io ne sono stato governatore tre volte della Galilea, e con uno scettro di quaranta palmi in mano ho administrato giustizia a quei popoli.