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288 | gli duoi fratelli rivali |
Don Rodorigo. Non si deve condennar a morte chi sommamente desia di morire, ché la morte gli sarebbe premio, non castigo. Egli desiando la vostra figliuola per isposa fece l’errore, e l’error fu piú tosto dell’etá che suo, ché non gionge ancora a diciotto anni.
Eufranone. E voi con la giustizia vincete gli animi; né un error fatto per poca etá deve privare un padre di sua figlia. E voi sète giudice e non avvocato che debbiate escusarlo.
Don Rodorigo. Perché gli innamorati han l’animo infermo d’amore e la ragione annebbiata da furori, i loro errori son piú degni di scusa che di pena, e la giustizia ha gran riguardo ne’ casi d’amore.
Eufranone. Se l’amor bastasse ad escusar un delitto, tutti gli errori si direbbono esser fatti da innamorati e l’amor si comprarebbe a denari contanti.
Don Rodorigo. Perché le sète padre, la soverchia passion non vi fa conoscer il giusto; e un cor turbato e agitato dall’ira non ascolta ragione.
Eufranone, Fui padre d’una e, se mi è lecito dir, onestissima figlia; e i vostri nepoti per particulari interessi me l’han uccisa e infamata.
Don Rodorigo. Quando il reo è di gran merito si procede alla sentenza con piú riguardo.
Eufranone. La morte e innocenza di mia figlia gridano dinanzi al tribunal di Dio giustizia contro i vostri nepoti, che non restino invendicate.
Don Rodorigo. Dio sa quanto desio uscir da questo intrigo con onor mio, e volentieri mi contenterei spender una parte del mio proprio corpo, e mi parrebbe come nulla mi levassi, anzi mi parrebbe esser intiero e perfetto. Eufranone mio, poniam caso che don Flaminio morisse publicamente: resuscitará per questo la tua figliuola?
Eufranone. No, ma da un publico supplicio vien a verificarsi la sua innocenza.
Don Rodorigo. Anzi questo garbuglio ha nobilitato la fama della sua pudicizia, perché Leccardo è giá preso e, menato