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atto quarto 285


Leccardo. Che l’importa che sia freddo freddo?

Birri. Le cose fatte calde calde son buone.

Leccardo. Che son io piatto di maccheroni che bisogna che sia caldo caldo? Ma io vo’ morir appiccato per non morir sempre di fame; ma se volete appicarmi, fatemi mangiar prima, che non muoia di doppia morte, e della fune e della fame.

Birri. Camina!

Leccardo. Son debole e non posso caminare.

Birri. Le buon’opre tue ti fan meritevole d’una forca.

Leccardo. Per vostra grazia, non per mio merito: ed io ne fo un dono alle Signorie Vostre come piú meritevoli di me.

Birri. La tua gola ti ha fatto incappare.

Leccardo. I topi golosi incappano al laccio.

Birri. Sei stato cagione che sia morta la piú degna gentildonna di questa cittá per la tua golaccia.

Leccardo. E se non lo faceva per la mia gola, per chi l’aveva io a fare?

Birri. Ma tu troppo ti trattieni.

Leccardo. Avendo a morir strangolato, ponetemi di grazia un fegatello in gola, ché quando il capestro mi stringerá il collo di fuori, la gola mi stringerá il fegadello di dentro, e il succo che calerá giú mi confortará lo stomaco e lo polmone, e quello che ascenderá su mi confortare la bocca e il cervello: cosí morendo non mi parrá morire.

Birri. Se non camini presto, ti darrò delle pugna.

Leccardo. Almanco dite a’ confrati, che m’hanno a ricordar l’anima, che portino seco scatole di confezioni e vernaccia fina che mi confortino di passo in passo.

Birri. Non dubbitar, ché andrai su un asino con una mitra in testa, con trombe e gran compagnia; e il boia ti sollicitará con un buon staffile.

Leccardo. O pergole di salciccioni alla lombarda, o provature, morrò io senza gustarvi? o caneva, non assaggiare piú i tuoi vini? Prego Iddio che coloro, che t’hanno a godere, sieno uomini di giudizio e non sciagurati che ti assassinino! Adio, galli d’India, caponi, galline e polli, non vi goderò piú mai!