Pagina:Della Porta - Le commedie II.djvu/283


atto quarto 271


Eufranone. Nelle cose degne e onorate si trapone sempre mordace lingua.

Don Ignazio. Qui non mordace lingua ma gli occhi stessi furon testimoni del tutto.

Eufranone. Né in cosa cosí lontana dall’esser di mia figliuola dovrebbe un par vostro creder agli occhi suoi, che ben spesso s’ingannano.

Don Ignazio. Che un uomo possi ingannar un altro è facil cosa ma se stesso è difficile: ché quel che vidi, molto chiaramente il viddi, e per non averlo veduto arei voluto esser nato senz’occhi.

Eufranone. Lo vedeste voi a lume chiaro?

Don Ignazio. Anzi a sí nimico spettacolo rimasi senza lume!

Eufranone. Gran cose ascolto!

Don Ignazio. Or ditele da mia parte che desiava lei per isposa stimandola onesta e onorata; ma avendone veduto tutto il contrario, si goda per sposo chi la passata notte goduto s’ave.

Eufranone. Farò la vostra ambasciata e farò che le penetri ben nel cuore. Ahi, misero padre d’infame figlia, e quanto son dolente d’averti generata!

Simbolo. Non v’ho detto, padrone, che il vostro parlare arebbe cagionato qualche ruina? ch’essendo egli molto superbo né punto avezzo a sopportar ingiurie, con che rabbiosa pacienza ascoltava; e con gli occhi lampeggianti di un subbilo sdegno, ripieno di un feroce dolore, die’ di mano al pugnale e se n’è gito su dove fará qualche scompiglio. L’onda, che batte ne’ scogli, si fa schiuma, sfoga e finisce il furore; ma se non fa né rumor né schiuma, s’ingorga in se stessa, si gonfia e fa crudelissima tempesta. Dal ferro delle vostre parole, come da una spada, ha rinchiuso il dolor dentro: sentirete la tempesta. Sento tutta la casa piena di gridi e di romore. Andiamocene, se non volete ancor rallegrar gli occhi vostri del suo sangue; ché se foste constretto vederlo, dovreste serrar gli occhi per non mirarlo.