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268 | gli duoi fratelli rivali |
Don Flaminio. Benissimo, meglio che s’io fussi stato nel tuo cuore o tu nel mio.
Leccardo. Che dici del capitano, del suo non aspettato e fattoci beneficio?
Don Flaminio. La fortuna non ha ingannato punto il nostro desiderio.
Leccardo. Mai mi son compiaciuto di me stesso come ora, tanto mi par d’aver fatto bene.
Don Flaminio. Te ne ho grande obligo.
Leccardo. Ne avete cagione.
Don Flaminio. Panimbolo, par che siamo fuori di periglio.
Panimbolo. Anzi or siamo nel periglio; e poiché si è cominciato, bisogna finire, ché non facci a noi egli quel che pensiamo di far a lui.
Leccardo. La fortuna scherza con noi, ché scambievolmente abbassa l’uno e inalza l’altro.
Don Flaminio. Patisca or egli quelle pene che ha fatto patir a me! Egli piange ed io rido.
Leccardo. Ben sará se non s’appicca con le sue mani!
Don Flaminio. Questo bisogno sarebbe a punto per farmi felice! Andiamo.
Leccardo. Ed io vo’ entrar qui dentro e prendermi spasso di Chiaretta col capitano.