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262 gli duoi fratelli rivali

a’ suoi comodi. Or questo, che è il peggior uomo che si trovi, sará vostro cognato; e ci son altre cose da dire e da non dire.

Don Ignazio. Mi par impossibile.

Don Flaminio. Farò che ascoltiati da molti il medesimo.

Don Ignazio. Se non lo credo a voi, meno lo crederò agli altri.

Panimbolo. (Li è restata la lingua nella gola e non ne può uscir parola).

Don Flaminio. E se non lo credete, farò che lo veggiate con gli occhi vostri.

Don Ignazio. Che cosa?

Don Flaminio. Poiché volete sposarla dimani, vo’ dormir seco la notte che viene: io sarò sposo notturno, voi diurno. State stupefatto?

Don Ignazio. Se mi fusse caduto un fulmine da presso, non starei cosí attonito.

Don Flaminio. Da un buon fratello come vi son io bisogna dirsi la veritá, poi in cose d’importanza e dove ci va l’onore.

Panimbolo. (O mondo traditore, tutto fizioni!).

Don Ignazio. Odo cose da voi non piú intese da altri.

Don Flaminio. Se vi fusse piú tempo, ve lo farei udir da mille lingue; ma perché viene la notte piú tosto che arei voluto, venete meco alle due ore, che andrò in casa sua: vi farò veder le sue vesti e i doni che l’avete mandati, e ce ne ritornaremo a casa insieme.

Don Ignazio. Se me fate veder questo, farò quel conto di lei che si deve far d’una sua pari.

Don Flaminio. Andiamo a cenare e verremo quando sará piú imbrunita la notte.

Don Ignazio. Andiamo.

Don Flaminio. Andate prima, ché verrò dopoi.

Panimbolo. Giá è gito via.

Don Flaminio. Panimbolo, a me par che la cosa riesca bene.

Panimbolo. Avete finto assai naturale. Mi son accorto che la gelosia li attaccò la lingua che non possea esprimere parole!

Don Flaminio. Io non mi dispero della vittoria.