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258 | gli duoi fratelli rivali |
Avanzino. In che vi ho offeso io?
Don Ignazio. Non so perché non ti spezzi la testa in mille parti, come m’hai rovinato dal fondo e spezzatomi il cuore in mille parti!
Avanzino. Queste sono le grazie che mi rendete del piacer che vi ho fatto?
Don Ignazio. Un simile piacere sia fatto a te dal boia, gaglioffo!
Simbolo. Padrone, non bisogna irarvi contro costui.
Don Ignazio. Egli m’ha rovinato della vita e scompigliato il negozio.
Simbolo. Per questo non deve mai il padrone trattare i suoi fatti dinanzi a’ servi, i quali, quando non vi nocciono per malignitá, almeno vi nocciono per ignoranza.
Don Ignazio. Non so che farmi, son rovinato del tutto; m’ha posto in un garbuglio che non so come distaccarmene: andrá il conte al mio zio, dirá che l’ha trattato don Flaminio e che io ne sia contentissimo, effettuará il negozio.
Simbolo. Il caso è da temerne; ma i consigli de’ vecchi son tardi ché non si muovono con tanta fretta, e poi egli ha desio maritarvi in Ispagna.
Don Ignazio. Or conosco la mia sciocchezza a lasciarmi persuadere da te di accettar il partito di mio fratello: con non men infelice che ignobil consiglio tu mi hai posto in tanti travagli.
Simbolo. Chi arebbe potuto imaginar tanta ignoranza d’uomo a far di sua testa quel che non gli era stato ordinato?
Don Ignazio. Fa’ che mai tu comparischi ove io mi sia; se non, che farò pentirtene.
Avanzino. Questi sono i premi d’aver dieci anni fídelmente servito: esser cacciato di casa.
Simbolo. Taci e non parlar piú in collera. Ecco vostro fratello.