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atto primo. 15


Mastica. E come mi potrò io ricordare di queste parole letterate?

Olimpia. ... E digli che mia madre mi vuol sposare ad ogni modo col capitano, che ho fatto dalla mia parte quanto ho saputo e potuto e che non posso far piú per esser costante in amarlo e osservargli la fede che l’ho data d’esser sua eternamente, e che mai non vedrá persona Olimpia viva ch’abbia altro marito, ch’io non voglio né posso amare altra persona che non sia lui: che il capitano sollecita e s’affretta, la mia volontá non ci consente; l’obedienza di mia madre mi sforza, Amor con forti catene mi tira a sé; la mia libertá è in poter d’altri, la mia vita nelle sue mani: che consideri in che vita e in che inferno mi trovo, che sto come quella che sta confessandosi che d’ora in ora aspetta giustiziarsi; che se sono forzata maritarmi con questo capitano, m’ho serbata una carta di soblimato, che s’usa ne’ lisci della faccia, per avelenarmi. Onde s’è vero quello amore ch’ha detto portarmi, e se non ha sepolto con la lontananza la memoria di chi tanto mostrò d’amare, ch’or è tempo mostrarlo; non lo spaventi periglio o fatica, che solo a chi ben ama ogni affanno è legiero. ...

Mastica. (Giá è cominciata la predica, non finirá sí tosto).

Balia. Ascolta, Mastica.

Olimpia. ... Arei molto che dirti. Per finirla, apriti il petto, mostragli il cor tuo in scambio del mio; ché sapendo egli il cor mio, vedendo il tuo vederá appunto il mio.

Mastica. Tacete, che s’apre la porta del capitan Mastrilogo o Trasilogo, e vien fuori: che non ci senta parlare di queste cose.

Olimpia. Aggiongivi altro tanto del tuo, Mastica, sai.

Mastica. Será bene se gli dirò la metá di quanto m’avete detto.

Balia. Mastica, son tua schiava.

Mastica. E io tua chiave.