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atto terzo | 257 |
SCENA VI.
Don Ignazio, Simbolo, Avanzino.
Don Ignazio. Talché noi abbiamo gentilmente burlato il fratello, il quale si pensava burlar me.
Simbolo. Se non era il mio consiglio, ti saresti trovato in un gran garbuglio.
Avanzino. Padrone, datemi la mancia, ché me l’ho guadagnata davero.
Don Ignazio. E di che cosa?
Avanzino. Non la dico, se prima non me la prometteti.
Don Ignazio. Ti prometto quanto saprai tu dimandarmi.
Avanzino. Quando voi mi mandaste a casa del conte per veder se vi fusse, non so che mi fe’ far la via della porta della cittá che va a Tricarico. ...
Don Ignazio. E ben?
Avanzino. ...Trovai il conte il quale, perché se gli era sferrato il cavallo di tre piedi, s’era fermato a farlo ferrare, e li feci l’ambasciata da vostra parte. ...
Don Ignazio. E che ambasciata?
Avanzino. ... Come vostro fratello avea concluso il matrimonio per questa sera; e che voi non potevate aspettar fin alla sera, che volevate passar i capitoli allora allora e venire a casa. ...
Don Ignazio. Il conte che disse?
Avanzino. ...Se ne rallegrò molto; e cavalcato se n’andò alla via di Palazzo a vostro zio, e credo che adesso adesso será spedito il negozio.
Don Ignazio. Chi t’ha ordinato che gli facessi quell’ambasciata?
Avanzino. S’io vedeva che voi vi attristavate per quell’indugio, io per levarvi da quella tristezza ho pregato il conte da vostra parte ch’avesse differito l’andare a Tricarico per quel giorno.
Don Ignazio. Ah traditore, assassino!