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atto terzo | 251 |
SCENA III.
Martebellonio, Leccardo.
Martebellonio. Non ho lasciato fornai, salcicciai, macellari, osterie e piscatori che non abbia cerco per trovar Leccardo, e non ho avuto ventura di ritrovarlo! ...
Leccardo. (Ecco il ballon da vento! oh come gionge a tempo! Muterò parere e farò disegni piú a proposito, ché, per esser ignorantissimo, gli potrò dar ad intendere ciò che voglio).
Martebellonio. ... Certo sará imbriacato, e ficcatosi in qualche stalla si sará disfidato con la paglia a chi piú dorme. M’è salito capriccio in testa di Calidora e vorrei sborrar fantasia.
Leccardo. (Oh come servirò ben l’amico!). Ben venghi il bellissimo e innamoratissimo capitano!
Martebellonio. O Leccardo, ti son ito cercando tutt’oggi.
Leccardo. Se foste venuto dov’era, m’areste ritrovato al sicuro.
Martebellonio. Perché m’hai detto «bellissimo»?
Leccardo. Perché fate morir le principalissime gentildonne della cittá, e fra tutte Callidora, la mia padrona, che quando le muovo ragionamenti di voi fa atti da spiritata.
Martebellonio. Vorrei che la finissimo una volta, ché io non facessi penar lei né ella me; vorrei che le facessi un’ambasciata da mia parte.
Leccardo. Farò quanto m’imponete.
Martebellonio. Dille che non è picciol favore che un mio pari s’inchini ad amar lei, ché son amato dalle piú grandi donne del mondo.
Leccardo. Andrò a dirglielo.
Martebellonio. Ma non con certe parole umili che cagionino disprezzo, ma con un certo modo altiero che cagioni verso me onore e riverenza.