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250 gli duoi fratelli rivali

prometto dovizia di tutte le cose. Ahi, infingardo e senza core! i soldati per tre ducati il mese vanno a rischio di spade, di picche, di archibuggi e di artegliarie; ed io per sí gran prezzo non posso contrastar con la forca? Meglio è morir una volta, che sempre mal vivere. Ho passati tanti pericoli, cosí passerò quest’altro. Cancaro! si mangiano molte nespole mature, poi un’acerba t’ingozza: «è di errore antico penitenza nuova».

Don Flaminio. Risoluzione? ché l’indugio è pericoloso e il pericolo sovrasta.

Leccardo. Son risoluto servirvi piú volentieri che non sapresti commandarmi, e avvengane quello che si voglia: sète mio benefattore.

Don Flaminio. Avèrti che avendomi a fidar di te tu sia di fede intiera.

Leccardo. Interissima: non mai l’ho rotta perché non mai l’adoprai.

Don Flaminio. In che cosa mi serverai e in che modo?

Leccardo. Del modo non posso deliberare se non parlo prima con Chiaretta, ch’ella tien le chiavi delle sue casse. È gran tempo ch’ella cerca far l’amor con me.

Don Flaminio. Bisogna far l’amor con lei e dargli sodisfazione.

Leccardo. Piú tosto m’appiccherei. Mai feci l’amor se non con porchette e vitelle; ed è il peggio, ch’è una simia e pretende esser bellissima.

Don Flaminio. Bisogna tôr la medicina per una volta.

Leccardo. Quando la menerò a casa, fingerò por la mano alla chiave per aprir la porta. Basta: l’ingannerò di modo che mi aiuterá.

Don Flaminio. Lodo il consiglio: mandalo in essecuzione.

Leccardo. Fra poco saperete la risposta.

Don Flaminio. Non vo’ risposta che non ci è tempo: gli effetti rispondino per te.

Leccardo. La notte viene: non mi trattenete, ché è vostro danno; io vo con buona fortuna.

Don Flaminio. A rivederci.

Leccardo. A riparlarci.