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atto secondo | 239 |
Don Flaminio. Sará ancor finito tanto apparecchio?
Leccardo. Non è finito ancora.
Don Flaminio. Almen s’è detto assai: torniamo a noi.
Leccardo. ... Quando io viddi i cuochi occupati in partire e distribuire le robbe, fingendo aiutarli mi trametto e ne trabalzo le teste di capretti. ...
Don Flaminio. Orsú te le mangiasti, l’hai detto prima.
Leccardo. Come dunque volea mangiarmele crude? bisognava che fussero prima cotte. Se volete indovinar, indovinate a voi stesso quanto desiate saper da me.
Don Flaminio. Il malanno che Dio dia a te e alle tue chiacchiare!
Leccardo. Se non lasciate parlar a me prima, come volete che parli io?
Don Flaminio. Parla in tua malora e finiscila presto!
Leccardo. Se non mi lasciate parlare, non finirò mai.
Don Flaminio. Sto per accommodarmi la cappa sotto e sedermi in terra per ascoltare con maggior agio.
Leccardo. Tacete mentre parlo.
Don Flaminio. Comincia presto, che fai? Sto attaccato alla corda, non sentii mai in mia vita la maggior pena.
Leccardo. Voi state malcontento, e se non vi vedo allegro non posso parlare.
Don Flaminio. Che cagion ho io di star allegro?
Leccardo. Dunque taccio poiché non ascoltate con allegrezza.
Don Flaminio. Se non con allegrezza, almeno con pacienza: di’ su.
Leccardo. ... Io mi accorgo che bugliva una gran caldaia d’acqua per ispiumar i pollami e spelar gli animali; fingendo stuzzicar il fuoco, vi butto dentro le testoline. ...
Don Flaminio. Or lasciamo dentro la caldaia il ragionamento di ciò. Cotte che fûro te le mangiasti, buon pro ti faccia: finimola presto.
Leccardo. ... Venne un altro cuoco e s’accorge ch’avea buttato le testoline dentro la caldaia. ...