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236 | gli duoi fratelli rivali |
SCENA IX.
Don Flaminio, Panimbolo, Leccardo.
Don Flaminio. Io vo’ far prima ogni sforzo se posso indurla ad amarmi; e quando non mi riuscirá, non mancará ricercarla per moglie. Lo vo’ lassar per l’ultimo, ché son risoluto non viver senz’ella o sua sorella.
Panimbolo. Voi trattando per via del parasito e con lettere e per modi cosí disconvenevoli, in cambio d’amarvi vibrará contro voi fiamme di sdegno, perché stimará esser oltraggiata da voi ne’ fatti dell’onore.
Don Flaminio. Non vedi Leccardo come sta allegro?
Panimbolo. Averá bevuto soverchio e sta ubbriaco.
Leccardo. O Dio, dove andrò per trovare don Flaminio?
Don Flaminio. (Cerca me).
Leccardo. (Corri, volta, trotta, galoppa e dágli cosí felice novella).
Don Flaminio. (Se ben lo veggio allegro, mi sento un discontento nel core; e se ben ho voglia d’intenderlo, li vo innanzi contro mia voglia).
Leccardo. O signor don Flaminio, buona nuova! la mia lingua non t’apporta piú male novelle.
Don Flaminio. E la mia ti apporterá grande utile.
Leccardo. Non sapete il successo?
Don Flaminio. Non io.
Leccardo. Come nol sai, se il sa tutto Salerno?
Don Flaminio. Nol so, ti dico.
Leccardo. O nieghi o fingi per burlarmi.
Don Flaminio. In cosa ch’importa non si deve burlare.
Leccardo. Io penso che tu vogli burlar me.
Don Flaminio. La burla insino adesso l’ho ricevuta in piacere, ma or mi dá noia.
Leccardo. Lasciare le burle e dirò da dovero.