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234 | gli duoi fratelli rivali |
Eufranone. Egli istesso; né ha voluto partirsi da me se non gli la prometteva.
Polisena. Quando egli la vidde mai?
Eufranone. Quel giorno che fu la festa in Palazzo.
Polisena. O somma bontá di Dio, quanto sei grande! e quanto sono secreti i termini per i quali camini, quando ti piace favorir i tuoi devoti! Tu sai, marito mio, che Carizia appena va fuor di casa il natale e la pasqua, cosí per l’incommoditá delle vesti come che è di sua natura malinconica; e se quei giorni che si preparava la festa, le venne un disio che mai riposava la notte e il giorno, pregandomi che vi la conducessi; e ributtandola io che non avea vesti e abbegliamenti da comparir tra tante gentildonne sue pari, se disse che le volea tórre in presto dalle sue conoscenti, da chi una cosa e da chi un’altra. Ce lo promisi, tenendo per fermo che a lei fusse impossibile tanta manifattura: s’affaticò tanto con le sue amiche che accommodò sè e Callidora. Or io, non potendo resistere a tanti prieghi, chiesi licenza a voi e ve la condussi. Or chi arebbe potuto pensare che indi avea a nascere la sua ventura?
Eufranone. Chi può penetrar gli occulti segreti di Dio?
Polisena. O Iddio, che mai vien meno a chi pone in te solo le sue speranze? Ella si è sempre raccomandata a te, e tu li hai esaudite le sue preghiere, rimunerata la sua bontá e l’ubidienza estraordinaria che porta al suo padre e sua madre.
Eufranone. Ho tanto giubilo al core che mi trae di me stesso.
Polisena. Se ben i padri s’attristano al nascer delle femine, con dir che seco portano cattivo augurio di certa povertá e di poco onore; pur son state molte che hanno inalzato il suo parentado, come speriamo di costei.
Eufranone. Ella è una gran donna; e non m’accieca la benda del soverchio amore. Mai si vide tanta saviezza e bontá in una fanciulla.
Polisena. Vorrei dir molto delle sue buone qualitá che voi non sapete; ma le lacrime di tenerezza non me lo lasciano esprimere.