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atto secondo 233

SCENA VII.

Polisena moglie, Eufranone.

Polisena. (Veggio il mio marito su l’uscio, piú del solito allegro). Gentil compagno mio, che ci è di nuovo?

Eufranone. Buone novelle.

Polisena. Ma non per noi.

Eufranone. Perché no?

Polisena. Perché siamo cosí avezzi alle sciagure che, volendoci favorir la fortuna, non trovarebbe la via.

Eufranone. Abbiam maritata Carizia.

Polisena. Eh, e con chi? con quel dottor della necessitá, nostro vicino?

Eufranone, Con un meglior del dottore.

Polisena. Con quel capitan Martebellonio bugiardo vantatore?

Eufranone Con un gentiluomo.

Polisena. Quel gentiluomo poverello che ce la chiese l’altro giorno? E che vai nobiltá senza denari? avete l’esempio in noi.

Eufranone. Non l’indovinaresti mai.

Polisena. Dimmelo, marito mio, di grazia: non mi far cosí struggere di desiderio.

Eufranone. Non vo’ farti piú penare. Con don Ignazio di Mendozza.

Polisena. Quel nipote del viceré della provincia, che combatté quel giorno con i tori?

Eufranone. Con quell’istesso.

Polisena. Egli è possibile, marito mio, che tu vogli cosí beffarmi e rallegrarmi con false allegrezze? Il caldo del piacere, che giá mi scorrea per tutte le vene, mi s’è raffreddato e gelato.

Eufranone. Giuro per la tua vita, cosí a me cara come la mia, che lo dico da senno.

Polisena. E chi ha trattato tal matrimonio?