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atto secondo 231

del cuore! Io non merito da voi esser tacciato di vizio di leggierezza, nascendo il mio amore da un risoluto e invecchiato affetto dell’anima mia: ch’avendo fatto l’ultimo mio forzo di resistere al suo amore, dopo lunghissimo combattimento le sue bellezze son restate vincitrici d’ogni mia voglia.

Eufranone. Vi priego a pensarvi su sei mesi prima; e se pur dura la voglia, allor me la potrete chiedere: ed io vi do la mia fede serbarla per voi insin a quel tempo.

Don Ignazio. Sei mesi star senza Carizia? piú tosto potrei vivere senza la vita: e ben sapete che l’amante non ha maggior nemico che l’indugio.

Eufranone. A questo conosco l’impeto giovenile, che quanto con maggior violenza assale tanto piú tosto s’intepidisce.

Don Ignazio. Ogni parola che vi esce di bocca mi è un can rabbioso che mi straccia il petto. Il mio amore è immortale, e la mia fé, che or stimate leggiera, la conoscerete fermissima agli effetti.

Eufranone. È contento vostro zio e fratello del matrimonio?

Don Ignazio. Farò che si contentino.

Eufranone. Fate che si contentino prima, e poi affettuaremo il matrimonio.

Don Ignazio. L’amor mio non può patir tanto indugio; anzi mi maraviglio che dal giorno della festa come sia potuto restar vivo senza lei.

Eufranone. Lo dico ad effetto, che forsi, non contentandosi del matrimonio, inventassero qualche modo per disturbarlo, onde venissi a perdere quel poco di onor che mi è rimasto.

Don Ignazio. O Dio, quanta téma e quanto sospetto!

Eufranone. «Chi poco ha, molto stima e molto teme». Ma voi sète informato dell’infortunio che ho patito nella robba, che non solo non ho da poter dar dote ad un par vostro ma né meno ad un povero mio pari?

Don Ignazio. Ho inteso che per aver voluto seguir le parti sanseverinesche siate caduto in tanta disgrazia; ma io ho stimato sempre d’animi bassi e vili coloro che s’han voluto