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atto secondo 227


Don Flaminio. Con patto espresso ch’abbiate a sposarla per questa sera.

Don Ignazio. Or tal patto non potrò osservarlo.

Don Flaminio. Come?

Don Ignazio. Perché non basterei a contenere me stesso in tanto desiderio di non gir a sposarla or ora.

Simbolo. (Finge assai bene; e dubbito che a questa volta l’ingannatore restará ingannato).

Angiola. (Or va’ e fidati d’uomini, va’! o uomini traditori!).

Don Flaminio. Egli ha voluto giungervi quella clausula, perché l’era stato riferito che eravate innamorato e morto per altra.

Don Ignazio. Non mi ricordo aver mai amato cosí ardentemente come Aldonzina sua figlia; ché se ben ho amato molto, l’amor è stato assai piú finto che da vero, e mi son dilettato sempre dar la burla or a questa or a quell’altra.

Angiola. (Oh che vi siano cavati quei cuori pieni d’inganni! Or va’ ti fida, va’! e chi non restarebbe ingannata da loro?).

Don Ignazio. Ma per tôrlo da questo sospetto, andiamo ora a sposarla; andiamo, caro fratello, non mi far cosí strugere a poco a poco, ché dubito non rimarrá nulla d’intiero insin a sera.

Don Flaminio. L’appontamento è stato per la sera che viene: e credo ha chiesto il termine per non trovarsi forsi la casa in ordine; e andando cosí all’improviso, forsi li daremo qualche disgusto e forsi vi perderete di riputazione: però abbiate pacienza per un poco d’intervallo di tempo.

Simbolo. (Non dissi ch’arebbe sfugito d’andarvi? abbiam vinto).

Don Ignazio. Dubbito di non potervi ubidire.

Don Flaminio. Forsi non sará in casa.

Angiola. (Mira che desiderio e che ardore!).

Don Ignazio. Mandiamo a vedere.

Don Flaminio. Panimbolo, va’ a casa del conte.

Don Ignazio. Vien qua, Avanzino, va’ a casa del conte e vedi se il conte de Tricarico è in casa.

Don Flaminio. Essendovi, andrò ad avisarlo io prima, verrò a trovarvi e vi andaremo insieme.