Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
226 | gli duoi fratelli rivali |
SCENA IV.
Don Flaminio, don Ignazio, Angiola, Simbolo.
Don Flaminio. Oh, signor don Ignazio, voi siate il ben trovato!
Don Ignazio. E voi il benvenuto, carissimo fratello!
Angiola. (Mi manda Carizia, la mia nipote, se posso spiar alcuna cosa del matrimonio suo e che si dice di lei).
Don Flaminio. Poni mano a darmi una buona mancia, ché onoratissimamente me l’ho guadagnata.
Don Ignazio. Non so che offerirvi in particolare, se sète padrone di tutta la mia robba.
Angiola. (Certo ragionano del matrimonio de mia nepote: vo’ star da parte in quel vicolo per ascoltar che dicono).
Don Flaminio. Veramente la merito, perché ci ho faticato; e se ben l’un fratello è tenuto por la vita per l’altro, pur in cosa di gran sodisfazione non si vieta che non si faccino alcuni complimenti fra loro.
Don Ignazio. Mi sottoscrivo a quanto mi tassarete.
Angiola. (Fin qui va bene il principio).
Don Ignazio. Dite di grazia, non mi tenete piú sospeso.
Don Flaminio. Giá è conchiuso il vostro matrimonio.
Angiola. (L’ho indovinata che ragionan del matrimonio di Carizia).
Don Ignazio. Con la figlia del conte de Tricarico?
Don Flaminio. Giá è contento darvi i quarantamilla ducati di dote e ha fermati i capitoli purché l’andiate a sposar per questa sera.
Don Ignazio. O mio caro fratello, o mio carissimo don Flaminio, ché piú desiderata novella non aresti potuto darmi in la mia vita!
Angiola. (Oimè, che cosa intendo! dice che ha conchiuso il matrimonio con la figlia del conte di Tricarico con quarantamilla scudi di dote).