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222 | gli duoi fratelli rivali |
lei, d’indurlaci; ché, raggionandosele de voi, ho conosciuto nel suo animo non so che di tacito consentimento. Fratanto che attendete la risposta, potrete trattenervi qui intorno, ché io vo’ entrar in casa.
Don Ignazio. Che dici, Simbolo?
Simbolo. Ad una dura e faticosa impresa vi sète posto.
Don Ignazio. Per lei tutte le fatiche e le durezze mi sono care; né mai le grandi imprese si vinsero senza gran fatiche.
Simbolo. Perdete il tempo.
Don Ignazio. E che tempo piú degnamente potrá perdersi come nell’acquisto de sí degno tesoro?
Simbolo. E che acquistate poi? l’amor d’una donna che si cambia di momento in momento.
Don Ignazio. Sí, delle vili e populari; ma quelle di reale animo come costei, amando, amano insino alla morte.
Simbolo. Tutte le donne sono d’una medesima natura.
Don Ignazio. Tu poco t’intendi di nature di donne. Ma non ingiuriar lei perché ingiurii me: taci.
Simbolo. Taccio.
Don Ignazio. Giá fuggono le tenebre dell’aria, ecco l’aurora che precede la chiarezza del mio bel sole, giá spuntano i raggi intorno: veggio la bella mano che con leggiadra maniera alza la gelosia. O felici occhi miei, che siete degni di tanto bene!
SCENA III.
Carizia, don Ignazio, Simbolo.
Carizia. Signor don Ignazio, poiché Angiola mia zia mi fa fede della vostra onorata richiesta, io non ho voluto mancare dalla mia parte: eccomi, che comandate?
Don Ignazio. Io comandare, che mi terrei il piú avventurato uomo che viva, se fusse un minimo suo schiavo? Voi sète quella che sola avete l’imperio d’ogni mia voluntá, e a voi sola sta impor le leggi e romperle a vostro modo.