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ATTO II.

SCENA I.

Don Ignazio, Simbolo.

Don Ignazio. Dura cosa è l’aver a far con i servidori: sa ben Simbolo quanto desio di andar a trovar mon’Angiola, e non ritorna. Ma eccolo. — Come hai fatto aspettarmi tanto, o Simbolo?

Simbolo. Come saprete quanto ho fatto in vostro serviggio, mi lodarete della tardanza. Sappiate che incontrandomi con don Flaminio, mi domandò con grande instanza di voi; e domandando io la caggion di tanta instanza, rispose che non voleva dirlo se non a voi solo. Mi lascia, e m’incontro con Panimbolo, il quale altresí mi dimandò di voi; e pregandolo mi dicesse che cosa chiedeva da voi, disse in secreto che don Flaminio aveva conchiuso col conte di Tricarico il matrimonio della figlia, e che vi vuol dare quarantamilla ducati purché foste andato a sposarla per questa sera. ...

Don Ignazio. Oimè, che pugnale è questo che mi spingi nel core? Mi rompi tutti i disegni e conturbi quanto avea proposto di fare: me hai morto!

Simbolo. ... Io, accioché non vi trovasse prima di me e vi cogliesse all’improviso, corro di qua, corro di lá per trovarvi, né lascio luoco, dove solete pratticar, che non avesse cerco. Fratanto considerava fra me stesso cotal nuova: cado in pensiero che sia un fingimento di vostro fratello di scoprir l’animo vostro, se stiate innamorato d’alcuna donna. ...

Don Ignazio. Buon pensiero, per vita mia!