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atto primo | 11 |
Anasira. Or sí che l’intendo, ed è certo un inganno accortissimo; e sento tanta dolcezza che questa gentil giovane resti contenta, che par sia Olimpia io e ancor io ne senta la mia parte. Ma dimmi: se Lampridio fusse riconosciuto in Napoli, non si scoprirebbe l’inganno?
Balia. Egli non mai fu in Napoli; e Olimpia l’ha fatto intendere per un certo Giulio studente, amico comune, che per quanto ha cara la grazia sua, per una cosa importantissima non venghi a Napoli prima che sia avisato, accioché non fusse riconosciuto da alcuno, come dici.
Anasira. Come Sennia non s’accorgerá che questo non è suo figlio?
Balia. Non t’ho detto io ch’appena era di due anni quando le fu tolto? e io le ho inteso dir mille volte che se lo vedesse non lo riconoscerebbe.
Anasira. Iddio le faccia succedere ogni cosa come desidera. Ti vo’ lasciare, a dio.
Balia. Tienlo secreto, sai: tu vedi quanto importa.
Anasira. Se non l’hai potuto tener secreto tu che t’importa, come lo posso tener secreto io che non mi si dá nulla?
Balia. Deh, per amor di Dio!
Anasira. Io scherzo cosí teco. (Ma chi può contenersi, se trovo il capitano, di non rivelargli cosí bella trama?).
Balia. Ti farei compagnia, se non avessi a ragionar con Mastica su questo fatto; e però son uscita e giá lo veggio venir in qua.
SCENA II.
Mastica parasito, Balia.
Mastica. Dicono i medici del mio paese che si trova una infermitá che si chiama «lupa», che dá una fame tanto affamata che quanto piú mangia piú s’affama. Io stimo esser nato con questa malattia non solo nelle budella ma nelle midolle dell’ossa, né tutti i sciroppi, medicine e servigiali del mondo non la possono cavar fuori. ...