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214 | gli duoi fratelli rivali |
tengono il possesso dell’armi nel cielo? però il mio nome è di «Marte-bellonio».
Leccardo. E per chi gli mandate il dispaccio?
Martebellonio. Per un mozzo di camera.
Leccardo. Come? gli attaccate l’ale dietro per farlo volar nel cielo?
Martebellonio. L’attacco le lettere al collo con un sacchetto di pane che basti per quindici giorni, poi lo piglio per lo piede e me lo giro tre volte per la testa e l’arrandello nel cielo. Marte, che sta aspettando, come il vede, il prende e ferma; si non, che ne salirebbe sin alla sfera stellata.
Leccardo. A che effetto quel sacco di pane?
Martebellonio. Ché non si muoia di fame per la via. — Marte, avendo inteso gli avisi, spedisce le provisioni e lo manda giú. Come il veggio cader dal cielo come una nubbe, vengo in piazza e lo ricevo nella palma; ché si desse in terra, se ne andrebbe fin al centro del mondo.
Leccardo. Che bevea? il mangiar il pane solo l’ingozzava e potea affogarsi. O si morí di sete?
Martebellonio. Bevé un canchero che ti mangia!
Leccardo. Oh s’è bella questa, degna di un par vostro!
Martebellonio. Ti vo’ raccontar la battaglia ch’ebbi con la Morte.
Leccardo. Non saria meglio che andassimo a bere due voltarelle per aver piú forza, io di ascoltare e voi di narrare?
Martebellonio. Il ber ti apportarebbe sonno, ed io non te la ridirei se mi donassi un regno. I miei fatti son morti nella mia lingua, ma per lor stessi sono illustri e famosi e si raccontano per istorie. — Sappi che la Morte prima era viva ed era suo ufficio ammazzar le genti con la falce. Ritrovandomi in Mauritania, stava alle strette con Atlante, il qual per esser oppresso dal peso del mondo era maltrattato da lei. Io, che non posso soffrir vantaggi, li toglio il mondo da sopra le spalle e me lo pongo su le mie. ...
Leccardo. (Sará piú bella della prima!). Ditemi, quel gran peso del mondo come lo soffrivano le vostre spalle?