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atto primo | 209 |
Don Flaminio. Oimè, tu passi troppo innanzi, mi poni in sospetto e m’ammazzi. Ma come potrei io di ciò chiarirmi?
Panimbolo. Agevolissimamente: subbito che l’incontrate, diteli che il conte è contento dargli li quarantamila scudi purché la sposi per questa sera; e se non troverá qualche scusa per isfuggir o prolungar le nozze, cavatemi gli occhi.
Don Flaminio. Dici assai bene; e or ora vo’ gir a trovarlo e fargli l’ambasciata.
Panimbolo. Ascoltate: dateli la nuova con gran allegrezza e mirate nel volto e negli occhi, osservate i colori — ché ne cambierá mille in un ponto: or bianco or pallido or rosso, — osservate la bocca con che finti risi; in somma ponete effetto a tutti i suoi gesti, ché troverete quanto ve dico.
Don Flaminio. Cosí vo’ fare.
Panimbolo. Ma ecco la peste de’ polli, la destruzione de’ galli d’India e la ruina de’ maccheroni!
SCENA III.
Leccardo parasito, Panimbolo, don Flaminio.
Leccardo. Non son uomo da partirmi da una casa tanto misera prima che non sia cacciato a bastonate? ...
Panimbolo. (Leccardo sta irato. Ho per fermo che non ará leccato ancora, ché niuna cosa fuorché questa basta a farlo arrabbiare).
Leccardo. ... E forse che debba soffrir cosí miserabil vita per i grassi bocconi che m’ingoio: una insalatuccia, una minestra de bietole come fusse bue? bel pasto da por innanzi alla mia fame bizzarra! ...
Panimbolo. (Ogni sua disgrazia è sovra il mangiare).
Leccardo. ... Digiunar senza voto? forse che almeno una volta la settimana si facesse qualche cenarella per rifocillar i spiriti! ...
Don Flaminio. (L’hai indovinata: non ha mangiato ancora).