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atto quinto | 193 |
SCENA VIII.
Arreotimo, Dulone.
Arreotimo. Sono tra il vivo e il morto: onde s’i’ fussi dimandato qual fussi o morto o vivo, non saprei che rispondergli, cosí ho l’animo turbato tra il timore e la speranza, dubitando che Erasto non s’incontri con Cintia e non s’ammazzino insieme! L’ho attesa a casa e non è ancor venuta, né la balia che è gita in cerca di lei ha potuto trovarla.
Dulone. Arreotimo, vi prega Sinesio che vegnate a casa, ché vi stanno aspettando con grandissimo desiderio.
Arreotimo. Si sa nuova di Cintia?
Dulone. Ivi è Cintia ed Erasto.
Arreotimo. Sono accordati insieme?
Dulone. Poco contrasto ci ha voluto per accordargli; or con grandissimo contento di ciascheduno si sposano insieme Cintia con Erasto, e Lidia con Amasio, e tutta la casa è in gioia.
Arreotimo. O Dio, come ti renderò io grazie bastanti, se ben mentre io vivesse stesse sempre in un perpetuo rendimento di grazie?
Dulone. Ci è maggior allegrezza.
Arreotimo. Qual può esser maggiore?
Dulone. Cintia vi manda a dir che, per temprarvi il dolore di non aver Cintio che pensavate, ma una femina Cintia, e ché non vi dogliate di Ersilia, la sua madre, e di lei, v’ha partorito un bel maschio.
Arreotimo. Ed è ella infantata?
Dulone. Infantatissima e di un graziosissimo bambino.
Arreotimo. O Dio, quanto son oltremisura allegro! O soprana bontá, quanti sono i favori che oggi tu mi concedi! dolevami di aver una femina, poi di averla perduta; or ho una figlia e un nipote di lei. Mi par mille anni di riveder l’una e l’altro, ché, dubitando di non averla a veder in eterno, sto con uno accesissimo desiderio di rivederla.