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188 | la cintia |
sempre fosti suavissima esca di miei pensieri, senza la cui vita né viver vorrei né esser stato nel mondo; o mia vera Amasia, e non piú imagine della finta Amasia — sei l’una e l’altra, e la vera e l’ombra della falsa, — uccider te da cui solo riconosco la mia vita? Oh quanto sarei cieco e ingrato sopra tutti gli uomini del mondo, sí come m’hai sempre rimproverato, se conosciuto l’error mio, come giá il conosco, non ricorressi alle tue ginocchia dove m’inchino, non ricercando da te vita, no, ma perdono! Hai vicina la spada: piglia quella vendetta di me che par che meriti tanta offesa. Io ti giuro per la tua vita, a me piú cara dell’istessa mia vita, che se non conoscessi nell’interno della mia conscienza non averti offeso per nequizia o malignitade, ch’io medesimo me la darei per le mie mani; ma perché non ho alcun rimorso nella mia mente, fa’ che ne speri perdono dalla tua benevolenza. Ecco io abbraccio le ginocchia; né mi levarò da queste mai, se non mi dái alcun saggio che, avendo a far penitenza tutto l’avanzo della mia vita, in ricompensa io ne abbi a sperare il perdono.
Cintia. Erasto, alzatevi e non mi offendete con questo atto: perché inchinarvi dinanzi a una che vi fu sempre serva?
Erasto. Non mi levarò mai se non mi date prima la penitenza.
Cintia. Alzatevi, vi dico, e se dite che voi sète servo, ubidite alla vostra padrona: il castigo e la penitenza sará che se non conoscendomi non mi avete amata, or che mi conoscete debbiate amarmi come io amo voi.
Erasto. Che io non debba amarvi? e comandarmi voi il contrario, come potrei ubbidirvi? Vita mia, d’una cosa di voi mi doglio, che avete avuto in me cosí poca confidenza: ché, conoscendo esser cosí ardentemente da voi amato, perché non doveva io amarvi? perché con cosí onorati inganni e cosí fideli tradimenti ricoprirvi? perché non venir meco alla libera? Voi sète stata cagione a voi stessa della vostra afflizione: ed io sarei stato il piú disconoscente uomo e ingrato, come voi dite, se non avessi con amore corrisposto a un tanto amore.
Cintia. Conosceva io che il mio ardire era troppo di desiderarvi; e troppo ostinata nell’amarvi, dubitava che la candidezza