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184 la cintia


Sinesio. Non piú parole, ché la brevitá del tempo non ricerca piú lunghi ragionamenti: itene a casa, e s’ella vi cápita, sia vostra cura di trattenerla, ché se s’incontrasse con Erasto prima ch’io le parlassi, potrebbono porre in effetto il loro fiero proponimento; ch’io cercherò di Erasto e di racchetarlo.

Arreotimo. Adio.

SCENA III.

Erasto, Sinesio.

Erasto. Quanti impeti di precipitose voglie in un punto m’assalgono, né so dove dar di capo!

Sinesio. Erasto, tu qui sei?

Erasto. Cosí non vi fussi e che fussi morto dieci anni sono!

Sinesio. Che cose ti traggono cosí fuor di cervello?

Erasto. Inganni, finzioni e tradimenti.

Sinesio. Fermati un poco qui, narrami il tutto: forse non saran tali come gli estimi.

Erasto. Non fui mai ne’ miei giorni in maggior angoscia: una nuvola di melancolia m’adombra d’intorno il core.

Sinesio. Narramelo, ti dico.

Erasto. Lo saprete un’altra volta, ch’or non ho tempo.

Sinesio. Il negarmelo cosí ostinatamente mi accresce la voglia di saperlo.

Erasto. Sappiate che doppiamente mi sento oltraggiato da Cintio, e nel fatto di mia sorella e dell’avermi fatto sposar una donna, che non so chi sia, sotto nome di Amasia, che col vostro consenso l’avea fatta dimandare al padre. M’ha fatto giacer seco e l’ho impregnata: al fin ho discoperto che Amasia sia maschio.

Sinesio. Nel fatto di Lidia l’ingiuria è manifesta, ma non sappiamo chi l’ha ingiuriata; nel fatto di Amasia di che ti duoli di lui? Se non hai goduto quel corpo di Amasia, pur l’hai goduto con l’imaginazione e ne hai preso piacere.

Erasto. Quella donna, con la quale mi fe’ giacere, era d’una bellezza incomparabile, d’un spirito vivacissimo e di sí