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atto terzo | 153 |
Lidia. Se voi volete esser cosí mio come io son vostra, non bisogna far altra violenza; ché cosí facendo mostrate il poco amore. Balia balia, aiutami, dove sei?
Balia. Son qui impedita; verrò or ora. E che pensiate che sia ciò?
Dulone. (O povero padrone, se vedeste con gli occhi vostri quel che ho visto io, areste dato credito alle parole d’un vostro fidelissimo servidore, poiché non l’avete data per lo passato. Va’, fidati d’amici, va’. Ecco gli amici d’oggi: tutti interessi e dissegni. Chi mostrò ad uomo amicizia piú leal di costui? e or gli fa cosí gran tradimento. Oh quanto desiderarei ch’egli fusse qui adesso per fargli veder il tutto con gli occhi suoi!).
SCENA VII.
Capitano, Dulone.
Capitano. Son gito cercando quel furfantello di Cintio, l’ho dato una buona stretta ma le botte l’han gionte l’ali a’ piedi: le buone gambe l’han salvato, ché con questa sola scrima si scampa dalle mie mani.
Dulone. Io ho inteso dar certe botte e gridar molto.
Capitano. Le botte le dava io, e colui che le riceveva era quel che gridava.
Dulone. T’hai pur fatto scampar Cintio di mano: oh gran vergogna!
Capitano. Giuro a fé di Marte e di Bellona, che ancor ch’ei s’incavernasse sotterra e si rinselvasse nella Transilvania, non sará per iscampar dalle mie mani e proverá che cosa sia far sdegno ad un par mio! Non sa egli ch’io son capitano dal cui ritratto si de’ tôr il modello de tutti i capitani del mondo?
Dulone. Veggio venir fuori Cintio da Lidia, e viene a tempo.