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146 la cintia

SCENA III.

Balia di Cintia, Erasto, Cintia, Capitano, Dulone.

Balia. Erasto, sète qui voi?

Erasto. Eccomi, balia, dove è Amasia mia?

Balia. È qui in ordine e vi sta aspettando.

Erasto. Dille di grazia, che compaia su l’uscio, sol per dar questo contento al cor mio.

Balia. Di grazia, mirate che non siate sovragionti da alcuno.

Erasto. Non dubitate ch’io e Dulone stiam facendo la spia.

Cintia. Buona notte, Erasto, cuor mio!

Erasto. Veramente che voi sola potete darmi la buona e felicissima notte.

Cintia. Posso ben dir ch’ancor io ne ricevo la parte mia.

Erasto. Che notte notte? chiaro e felicissimo giorno! E come può esser notte dove compaiono gli occhi vostri, che a malgrado delle piú oscure tenebre scintillano intorno di splendidissima luce?

Cintia. Erasto, vita mia, areste detto piú il vero: che il lampo che vien fuor dalla fiamma accesa nel mio core illuminasse queste tenebre.

Erasto. Se il fuoco del mio petto splendesse, aggiongerei un altro sole a questo emisfero.

Cintia. Desiderarci, Erasto mio, spender il tempo in piú virtuoso essercizio che in cerimonie.

Dulone. (Che dici, capitano, è vero quanto diciamo?).

Capitano. (È vero e me ne dispiace).

Cintia. Entriamo, anima mia.