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ATTO III.

SCENA I.

Erasto, Dulone.

Erasto. Giá deve esser la cittá tutta sepolta nel sonno e la mezanotte passata.

Dulone. Ed io stimo che non sieno ancor le due ore: voi misurate l’ore col vostro desiderio.

Erasto. Il tuo orologio è zoppo e flemmatico, si muove sempre tardi.

Dulone. E il vostro, spinto dal caldo dell’ardente desio, tocca assai presto: a chi aspetta non corre l’orologio.

Erasto. Vo’ accostarmi alla casa e fare il segno.

Dulone. Ricordatevi, padrone, quando sarete insieme, accostarvi alla luce e mirarla ben bene, accioché vi possiate accorgere se siate ingannato.

Erasto. Ti prometto che non potendola veder a mio modo, quando mi licenziarò, fingerò di abbracciarla; e cosí tôrla di peso e portarmela a casa, perché, secondo tu mi dici e io mi persuado, son stimato da goffo.

Dulone. Dubito che con la sua vista vi incanterá, e rapito dalla dolcezza porrete in oblio ancor voi stesso.

Erasto. Farò come ti ho detto, ancorché ci vada il rischio di perdervi la sua grazia.

Dulone. Fratanto farò la spia se Cintio venisse fuori, e mentre voi vi trastullerete con lei, s’egli si trastullerá con Lidia vostra sorella.

Erasto. Questo tuo suspetto è vano. Accostiamoci alla casa. — Ma non so chi vien per qua: sará certo il capitano.