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138 | la cintia |
la vostra bellezza è fatta padrona del cor mio, ogni vostro desiderio è fatto padron del mio.
Erasto. e quando io potrò compensarle cotanta cortesia?
Cintia. Io non ho fatto mai tanto per lei che il suo merito non ne meritasse molto piú.
Erasto. Ma qual merito non cede a tanta ricompensa? pregovi per ora appagarvi della mia perpetua servitú.
Cintia. Non può esser servo chi è maggior del padrone.
Erasto. Signora mia, poiché questa è la prima volta che le parlo di giorno e la prima che Vostra Signoria mi favorisce della sua vista, la prego a far questo ufficio un poco piú spesso.
Cintia. Il farò sempre che conoscerò che il vedermi vi apporti piacere.
Erasto. Come volete che non mi apporti piacere, se non per altro ho caro questi occhi che per vedervi?
Cintia. Gli occhi vostri non devrebbono mai veder altro che voi stesso, perché non ponno mirar cosa piú bella di loro; e però devreste sempre tener dinanzi un specchio.
Erasto. Voi sète il mio specchio, ché mirando voi vedo tutto quel bello che posso veder qui in terra; e se pur vedete in me cosa che vi piaccia, vien dal reflesso della vostra bellezza. Ma lasciamo le cerimonie. Vorrei, signora mia, che mi amaste piú di quello che fate.
Cintia. V’ho donato il mio core e sta giá in vostra podestá: fatevi amar quanto vi piace. Ma ditemi, signor mio, come posso amarvi piú di quello che vi amo?
Erasto. Se m’amaste quanto vi amo io, desiareste vedermi piú spesso di quello che fate.
Cintia. Se voi mi vedete di rado, io vi vedo ben spesso ad ogni ora che voglio, e vi son sempre appresso come ve ne accorgerete alcun giorno.
Erasto. Ditemi di grazia, è vera tanta difficoltá, che vi pone Cintio, quando io vo’ venire a vedervi?
Cintia, Quanto Cintio vi dice è tutto vero; e fate conto ch’io e Cintio siamo una cosa medesima: che vi parli con la mia bocca, che vi ami col mio core, ch’io sia la sua mente,