Pagina:Della Porta - Le commedie II.djvu/148

136 la cintia


Lidia. (O felice e contenta Lidia, che alle due ore di notte vedrò qui Cintio, sfogherò seco i miei ardori raccontandogli le mie pene! Balia, vattene a casa sua e fatti raccontare appuntino ogni cosa che han detto, ché non ho potuto intendere ben il tutto).

Balia. (Andrò or ora).

SCENA VI.

Erasto, Cintia.

Erasto. Cintio mio caro, amico mio dolce, convenevol mezo da conseguir tutte le mie amorose consolazioni, quando vi pagherò giamai tanto obligo? Deh, lasciate che vi baci le mani apportatrici de’ remedi alle mie passioni!

Cintia. Vo’ che me ne baciate la bocca, se la mia indignitá nol vieta.

Erasto. Io stesso non avrei potuto far l’ufficio per me stesso secondo l’animo mio, e se voi foste stato nel mio core e io nel vostro.

Cintia. Non so se io son nel vostro: so ben io che voi sète nel mio. Ma se di queste cosucce mostrate avermene cosí grand’obligo, quanto me ne devreste per quelle che non sapete?

Erasto. Vorrei poter sodisfar l’obligo di quanto fate per amor mio.

Cintia. E se non lo fo per amor vostro, per chi lo debbo far io?

Erasto. Ma dimmi, Cintio mio, tutte le paroli e che ti disse del venir alle due ore di notte e del comparir su la fenestra; ché non potei intender ben bene il tutto.

Cintia. Del venir questa notte, disse che per téma di suo padre e di quei di casa, che non si fussero avisati del fatto, avea determinato fra sé per alcuni mesi aver pazienza di non essere insieme con voi; ma a’ vostri e miei prieghi dice che verrá senza fallo, ancorché fusse sicura di aver a perderci la vita: né lo poté esprimere che con le piú suavi e dolci parole.