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atto secondo 135


Lidia. (Certo adesso le deve ragionar de’ fatti miei).

Cintia. Chi è «questa umilissima mia serva»? quella corteggiana dell’altro giorno di cui mi ragionaste?

Amasio. Il malanno che Dio li dia! è la vostra umilissima serva Amasia.

Cintia. Costei è degnissima mia padrona.

Balia. (Ascolta, figlia, che ha detto che «Lidia è vostra umilissima serva», ed egli ha risposto che sète la sua «dignissima padrona»).

Lidia. (O Amasia mia cara, in quanto obligo tu mi poni! ben conosco che m’ami!).

Cintia. Che dunque mi comanda ella?

Amasio. Che questa notte alle due ore vengate a casa a portarmi le vostre vesti; ed io le manderò a tôrre, acciò li dia ad una sua amica, ché vogliam far maschere tra noi.

Balia. (Li ha detto che venghi «alle due ore di notte a casa di Lidia»).

Lidia. (Giá l’ho inteso benissimo).

Cintia. Farò quanto dalla mia padrona mi sará imposto.

Lidia. (O felicissima Lidia, ecco quello che non ha potuto il padre, la balia e tutto il mondo. Amasia mia dolce l’ha conseguito in un subito: aver accettato che vuol venire insino a casa!).

Cintia. Se volete questa che ho adosso, questa sera certissimo.

Lidia. (Ha replicato: «questa sera certissimo»).

Amasio. Quelle istesse che altre volte m’avete prestato, ché siam simili di persone.

Lidia. (Non ho potuto intendere quel che ha detto ora: ha parlato pian piano).

Balia. (Dice che in ogni modo verrá in persona).

Amasio. Non mi mancate, di grazia, se m’amate.

Cintia. Mancherei piú tosto a me stesso.

Amasio. Io adesso vo a spogliarmi per mandarvele; adio.

Cintia. Adio, signora mia.